Buon pomeriggio readers, proseguiamo così la giornata di oggi, presentandovi libri sempre diversi dalle caratteristiche sempre uniche. E certamente il romanzo di Ardemagni ci vuole insegnare tantissimo, curiosi? Andiamo a scoprirlo!
In un mondo lavorativo senza etica dove si è anziani a 30 anni, moribondi a 40 e sepolti a 50, non c’è posto per l’empatia e la compassione malgrado la sincera confessione di Marcel, un gigante bernese, perso in una solitudine incompatibile con la sua ricchezza interiore: «Per me il mio lavoro è come un faro. Il mio modo di concorrere con il mio io in questa vita, e mi crea l’illusione di essere indispensabile per qualcuno. Se perdessi il lavoro… non so, non so. Avrei paura».
In una Zurigo frenetica, il tempo si ferma, un momento fà forse. Due amici, Marcel e “G” vengono licenziati dalla loro azienda.
Essere licenziati a 50 anni non dovrebbe essere una condanna ma un’opportunità di proseguire il proprio cammino verso una realizzazione personale in crescendo, invece, il romanzo di Giovanni Ardemagni ci rimanda in modo implacabile alla fragilità di una società mediatizzata, convulsa e sterile di soluzioni appropriate alla grandezza dell’uomo, lasciando i due protagonisti al loro libero arbitrio.
Parlare del licenziamento è sicuramente difficile, soprattutto all’interno della nostra società sempre provata dai cambiamenti lavorativi, dalle istituzioni e dalle manovre delle lobby. Eppure Giovanni tenta questo approccio alla realtà e ci attrae in tutto e per tutto alla sua storia.
Cosa accadrà ai due amici? Sarà una mazzata oppure un nuovo inizio? E voi cosa ne pensate?
Voglio lasciarvi alcuni passaggi estrapolati dal romanzo stesso e consigliati dall’autore!
«Sa questi anni nessuno e stato capace di togliermi da quella scatola di cerini. Una scatola di cerini con l’immagine pubblicitaria di un bordello qualsiasi. È come se il passante di turno cercasse un cerino e lo cercasse frettolosamente, quasi impaurito, tra tutti i cerini, e con quelle dita impazzite mi spostasse facendomi arrivare in fondo, in un angolo buio della scatola Marcel, invece, no!
Lui ha cercato con calma, come se mi cercasse in una scatola di cerini dorata e mi ha scelto. Mi ha acceso e lei non sa quanto mi faceva sentire così infuocata.
Poi mi ha trasformato in una candela. Sa, una candela di quelle che si mettono sulla torta di compleanno di un bimbo. Di quelle che quando soffi per spegnerla, sembra che si spenga e un istante dopo si riaccende e continua a farlo, e il piccolo ride e regala a tutti gli invitati, un sorriso spettacolare e due occhi incantati. Era sufficiente che lui soffiasse sul mio collo e io, per magia, mi riaccendevo».
«Hai cavalcato la tigre, amico mio, proprio come ha detto il vostro Salgari!».
«In che senso?».
«Nel senso che non ti sei fatto travolgere né annientare da ciò che non hai potuto controllare. Cavalcare la tigre non è facile ma, una volta che hai imparato a farlo, scenderne è molto difficile, soprattutto se la tigre sei tu stesso! È proprio come diceva un saggio indù, “Per conoscere le correnti di un fiume devi entrare nell’acqua”. Ecco, io vorrei amare di più la follia ma ne ho paura! La giornata di oggi mi ha regalato un po’ di coraggio e questo è il mio modo per ringraziarti, donandoti un po’ di sana follia. Gli esseri umani per lo più la evitano, a volte la snobbano e nella maggiore parte dei casi la giudicano, magari scuotendo la testa, o con un sorriso dolce, o con uno sguardo da giudice marziale. La follia ha un suo perché, sottile e intenso. La non follia non ha un perché e basta. La non follia non ha un nome, è semplicemente la non follia, che nessun non folle saprà mai descrivere». «Poveretti i non folli!».
Curiosi? Dai scopritelo!
La vostra Clara!